By Published On: 14 Settembre 2016Categories: Cultura e Sport

Recensione. “La Prima Guerra Mondiale come effetto dello Stato totale”

Lunedì 2 maggio abbiamo presentato il libro di Don Beniamino Di Martino “La Prima Guerra Mondiale come effetto dello Stato totale” insieme all’autore (Direttore di Storia Libera), a Francesco Perfetti (Professore di Storia Contemporanea presso la LUISS Guido Carli di Roma) e al direttore del Cittadino Ferruccio Pallavera. Questo contributo raccoglie due saggi sulla tematica della Grande Guerra riletta attraverso le categorie interpretative della Scuola Austriaca di economia. Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario dell’orrendo massacro di inizio Novecento, quest’opera si erge per chiarezza espositiva e soprattutto per un’insolita quanto feconda prospettiva, ancora non abbastanza conosciuta.

Abbiamo avuto, infatti, interpretazioni di ogni tipo nella storiografia su uno snodo tanto cruciale della contemporaneità, come il primo conflitto mondiale che la storia ricordi, e di dette interpretazioni sono colmi gli scaffali, così come la manualistica scolastica. È quanto mai opportuno però che il pubblico conosca anche una lettura della Grande Guerra fuori dalla convenzionalità, frutto di una grande tradizione di ricerca contemporanea agli eventi considerati. È la visione che scaturisce dagli esponenti della Scuola Austriaca che Di Martino rende esplicita, con un lavoro davvero encomiabile, esaltando una gloriosa quanto inesausta corrente culturale, che sarebbe riduttivo restringere al seppur vasto ed importantissimo ambito economico. Se essa nacque indubitabilmente per la risoluzione di problematiche di economia, è altrettanto indubitabile che fin da subito travalicò questo confine per ergersi ad orizzonte in grado di fornire risposte alle sfide dell’ultimo trentennio dell’Ottocento, fino a tutto il Novecento, giungendo fino ai nostri anni ed essendo ormai ramificata in tutto il mondo. Dall’originaria nascita nella leggendaria Vienna della fine del XIX secolo, passando attraverso i suoi più conosciuti esponenti (il caposcuola Carl Menger, Eugen von Bohm-Bawerk, Ludwig von Mises e Friedrich August von Hayek, per citare solo i più noti), essa conquistò adepti nel mondo anglosassone e soprattutto negli Stati Uniti (Murray Newton Rothbard, Israel Kirzner ed Hans Hermann Hoppe sono i nomi più conosciuti) divenendo un paradigma interpretativo per comprendere i fenomeni sociali in genere.

Se non sono molti gli storici di professione che si richiamano ai princìpi della Scuola Austriaca (pur annoverando uno studioso della perizia di Ralph Raico, che proprio sulla Prima Guerra mondiale ha scritto pagine illuminanti), tuttavia tutti i suoi esponenti si sono sentiti in dovere di esprimere il loro punto di vista sia sul clima che ha condotto e causato la catastrofe, sia sui provvedimenti che hanno caratterizzato e sono seguiti alla sciagura bellica. Possiamo sintetizzare il loro contributo dicendo che la Prima Guerra mondiale è stata preparata da un fronte ideologico nazionalista, storicista, positivista, progressivista, massificato e protezionista, ossia in un ambiente dominante di tipo social-statalista. Lo Stato acquista sempre più rilevanza, il suo spazio erode quello dell’individuo e la pianificazione progressivamente subentra al mercato e all’economia libera, che tante conquiste avevano consentito all’umanità. Questo coincide con una spersonalizzazione dell’uomo, una sua riduzione a mero automa nelle mani di organismi superiori che decidono le sue sorti sulla base del sempre maggiore potere da riservare alla burocrazia, alla politica e al leviatano statale.

Uomini come Menger, o Mises, dopo aver mostrato le ragioni dell’economia di mercato come fondamento della libertà degli individui e dopo aver messo in guardia di fronte ad ogni possibile ingerenza, non poterono che levare la loro voce opponendosi a tutti quei fattori che la stavano minando e che stavano conducendo l’umanità al mattatoio delle trincee. E la loro previsione, purtroppo si avverò pienamente.

Fu dunque una sempre più diffusa mentalità anticapitalistica e massificante, tesa a sostituire i valori liberali con quelli statalisti, a creare le condizioni per il deflagrare delle ostilità in tutti i paesi. Gruppi fra loro molto eterogenei erano accomunati dalle pulsioni interventiste, ma sarebbe stato più giusto dire che dall’Europa all’America un vento dirigista, volto al monopolio del potere nelle mani di gruppi filogovernativi, minava le basi della società aperta accettata fino a quel momento. Era il sovvertimento di un mondo e l’apertura di una nuova fase della storia dell’umanità, l’epoca della violenza e del sopruso sulle volontà degli individui.

Il piacere della lettura dell’opera è fornito anche dall’erudizione dell’autore, che non manca di toccare tematiche spinose per la nostra attualità come il ruolo dei cattolici e soprattutto una riflessione obiettiva sulla democrazia e le sue difficoltà. Insomma siamo di fronte a un gran bel libro, scorrevole, denso di spunti e utilissimo per smitizzare la Grande Guerra e capirne le radici di carattere ideologico che hanno contribuito a provocarne lo scoppio e che purtroppo sono ancora ben presenti nel dibattito culturale attuale, per certi versi quasi dominanti. Leggere questo testo contribuisce a creare gli anticorpi liberali nei confronti dei vari virus contrari alla libertà che circolano ancora oggi indisturbati.

 

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